Le Sezioni Unite della Cassazione si pronunciano sul tema, affermando importanti principi di diritto (sentenza n. 25021/2019)
Con la lunghissima e articolata sentenza 7 ottobre 2019, n. 25021 (testo in calce), le Sezioni Unite della Corte di Cassazione statuiscono una serie di principi di diritto in materia di scioglimento della comunione ereditaria.
Muovendo dal raffronto tra le previsioni contenute nella Legge n. 47/1985 ed il successivo D.P.R. n. 380/2001 la Suprema Corte chiarisce in particolare l’ambito applicativo delle sanzioni di nullità comminate dalle due norme, pronunciandosi anche su presupposti e condizioni della richiesta di divisione giudiziale parziale relativa ad un immobile abusivo incluso nel compendio ereditario.
Sommario
I fatti di causa
Le argomentazioni della Corte d’appello
Il ricorso per cassazione: i motivi
La rimessione della questione alle Sezioni Unite della Corte
Le questioni di diritto
Prima questione: art. 40, secondo comma L. 47/1985 e scioglimento della comunione
Seconda questione: art. 40, secondo comma L. 47/1985 e scioglimento della comunione ereditaria
Il diverso orientamento della Corte di Cassazione e il principio di diritto
Le conseguenze in punto di divisione giudiziale dell’eredità: il regime applicabile
Divisione parziale dell’asse ereditario con esclusione di immobile abusivo
Divisione parziale ed esclusione del fabbricato abusivo: l’erede può opporsi
Le disposizioni eccettuative del D.P.R. n. 380/2001 e della L. n. 47/1985
Conclusioni
I fatti di causa
La Curatela di un fallimento conveniva in giudizio i fratelli del fallito per ottenere lo scioglimento dell’insorta comunione ereditaria in relazione ad un fabbricato proveniente dalla successione legittima del comune genitore.
A tal proposito chiedeva l’assegnazione della quota di proprietà del bene spettante al fallito e, in caso di indivisibilità dell’immobile e di mancata richiesta di attribuzione da parte degli altri coeredi, la vendita del cespite con conseguente riparto del ricavato tra gli aventi diritto.
Domandava inoltre la condanna dei convenuti al pagamento di un’indennità a titolo di occupazione dell’immobile.
Nella contumacia dei convenuti il Tribunale di Palermo rigettava le domande attoree.
La sentenza veniva impugnata dalla Curatela, tuttavia anche la Corte d’appello di Palermo confermava la pronuncia di primo grado.
Le argomentazioni della Corte d’appello
La Corte territoriale riteneva di non poter disporre lo scioglimento della comunione ereditaria dal momento che il fabbricato oggetto di divisione era stato sopraelevato, nel periodo compreso tra il 1970 e il 1976, in assenza di concessione edilizia.
In particolare qualificava lo scioglimento della comunione ereditaria come atto tra vivi, assoggettandolo pertanto alle disposizioni di cui agli artt. 17 e 40 della Legge n. 47 del 1985, che vietano, sanzionandoli con la nullità, la stipula di atti tra vivi aventi ad oggetto diritti reali relativi ad edifici o a parti di essi, da cui non risultino le c.d. “menzioni urbanistiche” (estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria, copia della domanda di sanatoria munita degli estremi di presentazione e dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione).
Riteneva inoltre inapplicabile al caso di specie l’art. 46, quinto comma del D.P.R. n. 380/2001, che esclude la nullità degli atti posti in essere nell’ambito di procedure esecutive immobiliari: la norma – osservavano i giudici d’appello – deve infatti intendersi riferita alle sole vendite disposte nell’ambito di procedure esecutive e non è quindi estendibile alle divisioni.
Concludeva infine rigettando anche la domanda di condanna dei convenuti al pagamento di un’indennità per il godimento dell’immobile, non essendovi stata prova che questi avessero avuto l’esclusiva disponibilità del bene.
Il ricorso per cassazione: i motivi
La Curatela fallimentare proponeva ricorso per cassazione articolato in due distinti motivi.
In primo luogo lamentava che la Corte territoriale aveva trascurato che l’art. 40, secondo comma della L. n. 47/1985 non prevede espressamente gli atti di scioglimento della comunione tra quelli per cui prevede la sanzione della nullità.
In secondo luogo censurava l’inclusione degli atti di scioglimento della comunione ereditaria tra gli atti tra vivi, con conseguente applicazione delle previsioni di cui agli artt. 46, primo comma del D.P.R. n. 380 del 2001, e 40, secondo comma della L. n. 47 del 1985, in palese contrasto con i principi enunciati in materia dalla giurisprudenza di legittimità.
La rimessione della questione alle Sezioni Unite della Corte
La Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione trasmetteva gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, rilevando l’esistenza di una “questione di massima di particolare importanza” sottesa al ricorso.
Osservava a tal proposito che la giurisprudenza di legittimità, secondo cui la sanzione di nullità prevista dall’art. 17 della L. n. 47/1985 (ora sostituito dall’art. 46 del D.P.R. n. 380/2001) per i negozi aventi ad oggetto immobili privi di concessione edificatoria sarebbe riferita ai soli atti tra vivi, meriterebbe di essere rimeditata.
Indicava come punti degni di revisione l’inclusione dello scioglimento della comunione ereditaria tra gli atti mortis causa, quale atto conclusivo della vicenda successoria, e l’efficacia meramente dichiarativa riconosciuta all’atto divisorio.
Le questioni di diritto
Dall’esame del ricorso le Sezioni Unite della Corte rilevano l’esistenza di due questioni di diritto, distinte ma collegate tra loro.
La prima attiene alla necessità di stabilire se negli atti tra vivi, sanzionati con la nullità dall’art. 40, secondo comma della L. n. 47/1985, debbano includersi anche gli atti di scioglimento di comunione, genericamente intesa.
La seconda questione sorge in caso di risposta positiva alla prima, dovendosi a tal punto stabilire se nelle ipotesi di scioglimento di comunione, ricondotte al novero degli atti tra vivi, rientrino i soli atti di scioglimento della comunione ordinaria o anche quelli inerenti la comunione ereditaria.
Prima questione: art. 40, secondo comma L. 47/1985 e scioglimento della comunione
Nel risolvere la prima questione la Corte muove dal confronto tra le disposizioni di cui all’art. 40, secondo comma, della Legge n. 47/1985 e l’art. 17 della medesima Legge, abrogato dall’art. 136 del D.P.R. n. 380 del 2001 (“Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”) ma il cui contenuto è stato sostanzialmente riprodotto nell’art. 46, primo comma del medesimo decreto.
Dal confronto tra tali disposizioni la Corte rileva che solo l’art. 46 del D.P.R. citato contempla espressamente gli “atti di scioglimento della comunione” tra quelli colpiti da nullità.
Tale constatazione ha indotto parte della giurisprudenza di legittimità ad affermare che l’art. 40, secondo comma della L. 47/1985 non è applicabile agli atti di scioglimento della comunione, a differenza invece dell’art. 17 della stessa legge, ora sostituito dall’art. 46 primo comma del D.P.R. n. 380/2001 (così Cass., Sez. 2, n. 14764 del 13/07/2005).
Muovendo da tali premesse dovrebbe quindi concludersi che nessuna comminatoria di nullità esisterebbe per gli atti di scioglimento della comunione di qualsiasi tipo (anche di comunione ordinaria) relativa ad edifici abusivi non sanati, realizzati prima dell’entrata in vigore della L. n. 47/1985.
Le Sezioni Unite sono tuttavia di diverso avviso, ritenendo vi siano validi argomenti per procedere ad una revisione dell’indirizzo giurisprudenziale esistente.
Muovendo dall’analisi semantica e teleologica delle due disposizioni osservano infatti che l’art. art. 40, secondo comma della L. n. 47/1985 ha in realtà lo stesso ambito applicativo dell’art. 46 del D.P.R. n. 380/2001, risultando quindi applicabile anche agli atti di scioglimento della comunione.
Ovviamente restano esclusi dal campo di applicazione di entrambe le due norme sia gli atti mortis causa sia, tra quelli inter vivos, gli atti ad effetti meramente obbligatori, quelli costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù (espressamente esclusi dalle disposizioni richiamate), nonché gli atti derivanti da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali.
Sulla scorta di tali considerazioni la Corte risolve quindi positivamente la prima delle questioni affrontate, affermando il seguente principio di diritto: “Gli atti di scioglimento delle comunioni relativi ad edifici, o a loro parti, sono soggetti alla comminatoria della sanzione della nullità prevista dalla L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 2, per gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali relativi ad edifici realizzati prima della entrata in vigore della L. n. 47 del 1985 dai quali non risultino gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria ovvero ai quali non sia unita copia della domanda di sanatoria corredata dalla prova del versamento delle prime due rate di oblazione o dichiarazione sostitutiva di atto notorio attestante che la costruzione dell’opera è stata iniziata in data anteriore al 1 settembre 1967”.
Seconda questione: art. 40, secondo comma L. 47/1985 e scioglimento della comunione ereditaria
Risolta positivamente la prima questione, nel senso che lo scioglimento della comunione deve ritenersi ricompreso tra gli atti tra vivi per i quali l’art. 40, secondo comma della L. n. 47/1985 commina la sanzione della nullità, la Corte si chiede se nel novero di tali atti rientri lo scioglimento della comunione ereditaria o se non debba invece configurarsi come negozio a causa di morte.
Per lungo tempo la Corte ha concluso in tale ultimo senso, qualificando lo scioglimento della comunione ereditaria come atto conclusivo della vicenda successoria, come tale sottratto all’applicazione della disciplina dettata dalla L. n. 47/1985 (Cass., Sez. 2, n. 15133 del 28/11/2001; Cass., Sez. 2, n. 2313 del 01/02/2010).
Rilevante in tal senso è stato il disposto dell’art. 757 c.c., che riconosce efficacia retroattiva alle attribuzioni derivanti dall’atto divisionale, parendo quindi confermarne l’efficacia meramente dichiarativa e non traslativa (in tal senso Cass., Sez. 2, n. 9659 del 24/07/2000; Cass., Sez. 3, n. 7231 del 29/03/2006; Cass., Sez. 2, n. 17061 del 05/08/2011; Cass., Sez. 2, n. 26351 del 07/11/2017).
Si è inoltre osservato che assimilando lo scioglimento della comunione ordinaria a quello della comunione ereditaria, ai fini della comminatoria di nullità prevista dalla L. 47/1985 e dal D.P.R. n. 380/2001, si perverrebbe ad una irragionevole disparità di trattamento rispetto all’ipotesi, ritenuta “omogenea”, in cui la divisione è operata direttamente dal testatore, ipotesi cui pacificamente non si applica la disciplina su richiamata.
Il diverso orientamento della Corte di Cassazione ed il principio di diritto
Il Collegio ritiene di non poter condividere tale ricostruzione.
Quanto all’inclusione dello scioglimento della comunione ereditaria tra i negozi mortis causa osserva che se l’evento morte è ciò che connota questi ultimi, lo scioglimento della comunione ereditaria produce invece i suoi effetti indipendentemente dalla morte del de cuius, unicamente in forza dello scambio dei consensi espresso dai condividenti nelle forme di legge.
Si tratta pertanto di un tipico atto inter vivos, assimilato, quanto a natura ed effetti, a quello di scioglimento della comunione ordinaria, posto che entrambi sono contratti plurilaterali ad effetti reali con funzione distributiva, con cui i contraenti si ripartiscono le cose comuni in proporzione alle rispettive quote, facendo cessare lo stato di contitolarità in cui si trovano rispetto ad un bene o a un complesso di beni.
Quanto all’asserita disparità di trattamento rispetto all’ipotesi di divisione disposta dal testatore la Corte sottolinea che l’eventuale omogeneità esistente tra la divisione contrattuale e quella disposta dal testatore è tuttalpiù limitata al profilo funzionale dell’apporzionamento dei beni tra gli eredi, ma non interessa la natura degli atti giuridici intrapresi che rimane invariata.
La divisione testamentaria è indubbiamente un negozio mortis causa, la cui fonte ed effetti si rinvengono rispettivamente nella volontà del testatore e nella sua morte con conseguente apertura della successione.
Al contrario la divisione contrattuale non può che essere un negozio tra vivi, poiché scaturisce dalla volontà degli eredi e produce effetti indipendentemente dalla morte del de cuius.
Non è quindi illogico che a quest’ultimo sia consentito dividere tra i futuri eredi l’edificio abusivo di cui è proprietario, mentre agli eredi è vietato farlo con un contratto divisorio.
Gli eredi subentrano infatti nella medesima posizione del defunto e quindi acquistano il fabbricato abusivo nel medesimo stato di fatto e di diritto in cui questi lo possedeva.
Così come il de cuius non avrebbe potuto alienare l’immobile abusivo a terzi o dividerlo con un eventuale comproprietario, è quindi naturale che tale possibilità sia preclusa anche ai coeredi una volta che l’edificio abusivo è caduto in comunione ereditaria. Con la conseguenza che l’immobile è destinato a rimanere in comunione fin quando l’abuso non è sanato o materialmente eliminato.
Ma è sull’efficacia retroattiva della divisione che la Corte si sofferma maggiormente.
Quell’efficacia da cui dottrina e giurisprudenza fanno discendere la natura meramente dichiarativa dell’atto di divisione, sostenendo che ciascun coerede acquisterebbe la propria quota direttamente dal de cuius, come se la comunione medio tempore con gli altri condividenti non fosse mai esistita.
Sul punto gli Ermellini osservano che è vero che l’art. 757 c.c. fa retroagire l’efficacia della divisione al momento di apertura della successione, ma la retroattività opera soltanto sul piano dell’effetto distributivo conseguente alla divisione.
Il fenomeno divisorio ha invece un indubbio effetto costitutivo e più precisamente traslativo, dando luogo ad un mutamento della situazione giuridico-patrimoniale del condividente che perde la (com)proprietà sul tutto, acquisendo la proprietà individuale ed esclusiva sui beni che gli vengono assegnati e di cui prima non disponeva.
Si tratta di un mutamento logicamente e cronologicamente precedente e indipendente rispetto all’effetto retroattivo, che conferma come l’atto non ha causa ricognitiva di effetti giuridici già verificatisi, ma al contrario natura costitutivo-traslativa.
Come tale è quindi assimilabile a quelli (aventi appunto natura traslativa), per i quali la L. n. 47/1985 e il D.P.R. n. 380/2001 comminano la sanzione della nullità se hanno ad oggetto edifici abusivi o parti di essi.
In tal senso depongono sia la lettera dell’art. 46 del D.P.R. n. 380/2001, che prevede espressamente la nullità dell’atto di scioglimento della comunione avente ad oggetto edifici abusivi, senza distinguere tra comunione ordinaria ed ereditaria, sia la considerazione che quando il legislatore ha voluto sottrarre le divisioni ereditarie all’applicazione della normativa dettata in tema di controllo dell’attività urbanistico-edilizia lo ha previsto espressamente (si veda a tal proposito l’art. 30 del D.P.R. n. 380/2001).
In merito alla seconda questione le Sezioni Unite della Corte enunciano quindi il seguente principio di diritto:
“Gli atti di scioglimento della comunione ereditaria sono soggetti alla comminatoria della sanzione della nullità, prevista dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 46, comma 1, (già L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 17) e dalla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40, comma 2, per gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali relativi ad edifici o a loro parti dai quali non risultino gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria”.
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Le conseguenze in punto di divisione giudiziale dell’eredità: il regime applicabile
Muovendo dalle conclusioni raggiunte la Suprema Corte ne analizza le possibili implicazioni in punto di divisione giudiziale dell’eredità.
Le questioni da analizzare sono due: la prima attiene all’applicabilità alla divisione giudiziale di eredità del regime previsto per la divisione convenzionale; la seconda riguarda la possibilità di procedere ad una divisione giudiziale parziale dell’asse ereditario, escludendo il cespite oggetto di abusi.
La prima questione è risolta dalla Corte in senso positivo, rammentando che già in passato aveva chiarito che la previsione di cui all’art. 17, primo comma, della L. n. 47/198 (ora art. 46, primo comma del D.P.R. n. 380/2001) si applica sia alle divisioni “contrattuali” sia a quelle giudiziali, trattandosi di prescrizioni dettate a tutela dell’interesse pubblico la cui osservanza si impone al giudice (Cass., Sez. 2, n. 15133 del 28/11/2001; Cass., Sez. 2, n. 630 del 17/01/2003).
Sul punto statuisce pertanto il seguente principio di diritto: “Quando sia proposta domanda di scioglimento di una comunione (ordinaria o ereditaria che sia), il giudice non può disporre la divisione che abbia ad oggetto un fabbricato abusivo o parti di esso, in assenza della dichiarazione circa gli estremi della concessione edilizia e degli atti ad essa equipollenti, come richiesti dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 46 e dalla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40, comma 2, costituendo la regolarità edilizia del fabbricato condizione dell’azione ex art. 713 c.c., sotto il profilo della “possibilità giuridica”, e non potendo la pronuncia del giudice realizzare un effetto maggiore e diverso rispetto a quello che è consentito alle parti nell’ambito della loro autonomia negoziale. La mancanza della documentazione attestante la regolarità edilizia dell’edificio e il mancato esame di essa da parte del giudice sono rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio”.
Divisione parziale dell’asse ereditario con esclusione di immobile abusivo
Quanto alla possibilità di procedere ad una divisione parziale dell’asse ereditario, con esclusione dell’immobile abusivo che ne fa parte, ciò parrebbe precluso dal fatto che la divisione ereditaria è per sua natura “universale”, cioè è destinata a comprendere, di norma, tutti i beni del patrimonio del de cuius.
Il principio, pur non espressamente previsto è implicitamente desumibile e trova la sua ragion d’essere nell’esigenza di garantire agli eredi l’attribuzione di porzioni tra loro omogenee e proporzionali ai valori delle rispettive quote di partecipazione alla comunione.
La dottrina e la giurisprudenza sono tuttavia concordi nell’affermare che il principio dell’universalità della divisione ereditaria non è assoluto e inderogabile e oltre a trovare eccezioni legislativamente previste (si vedano gli artt. 713, terzo comma, 720, 722 e 1112 c.c.) può essere derogato per accordo unanime dei condividenti.
Ulteriore conferma si ravvisa anche nel disposto dell’art. 762 c.c. che stabilisce che l’omissione di uno o più beni ereditari non dà luogo a nullità della divisione, comportando unicamente la necessità di procedere ad un supplemento della stessa (si veda Cass., Sez. 2, n. 8448 del 03/09/1997).
Come più volte affermato, la divisione parziale dei beni ereditari è quindi possibile, sia per via contrattuale, quando vi sia l’accordo di tutti i coeredi, sia per via giudiziale, quando a fronte della richiesta di divisione da parte di uno solo di essi gli altri non chiedano a loro volta la divisione dell’intero asse (tra le tante si vedano Cass., SS. UU., n. 1323 del 16/03/1978; Cass., SS. UU. n. 1145 del 24/03/1977; Cass., Sez. 2, n. 6931 del 08/04/2016).
In caso di divisione parziale, ciò che viene attribuito a ciascun partecipante assume la natura di acconto sulla porzione spettante in sede di divisione definitiva, mentre i beni non divisi rimangono in comunione che conserva la sua originaria natura, con la conseguenza che al suo scioglimento sono applicabili i principi, anche di carattere processuale, propri della divisione ereditaria.
Deve pertanto concludersi, osserva la Corte, che la divisione giudiziale parziale dell’asse ereditario con esclusione del fabbricato abusivo che ne faccia parte è certamente ammissibile, quando vi sia la concorde volontà di tutti i coeredi.
L’esclusione del fabbricato dall’atto di scioglimento della comunione lo rende infatti conforme al disposto dei citati L. 47/1985 e D.P.R. n. 380/2001, sottraendolo alla comminatoria di nullità ivi prevista.
Divisione parziale ed esclusione del fabbricato abusivo: l’erede può opporsi
Resta da stabilire se uno dei coeredi può opporsi alla domanda di divisione giudiziale parziale dell’asse ereditario, con la sola esclusione del fabbricato abusivo, proposta da altro coerede.
Come già riferito la Corte premette che presupposto della divisione parziale di eredità è il consenso di tutti i coeredi.
Osserva inoltre che quando tutti i beni ereditari sono giuridicamente divisibili il diritto potestativo di uno dei coeredi di chiedere e ottenere la divisione parziale va necessariamente conciliato con quello degli altri ad ottenere la divisione dell’intero asse ereditario; altrimenti il primo potrebbe agevolmente paralizzare le pretese altrui per mere ragioni di opportunità.
Diversa è però l’ipotesi in cui tra i beni del patrimonio ereditario vi sia un fabbricato abusivo.
In tal caso la richiesta di uno dei coeredi di limitare la domanda di divisione ai beni diversi dal suddetto edificio non risponde ad una logica di convenienza ma si adegua unicamente al disposto del D.P.R. n. 380/2001 e della L. n. 47/1985, che vietano lo scioglimento della comunione relativa ad un immobile per cui non sia possibile indicare nell’atto gli estremi del titolo abilitativo (di fatto inesistente).
La limitazione del diritto degli altri coeredi è peraltro minima e circoscritta al predetto immobile ma non riguarda invece gli altri beni ereditari, per i quali questi possono chiedere, ai sensi dell’art. 713 primo comma c.c., lo scioglimento della comunione ereditaria.
Sul punto la Suprema Corte statuisce quindi il seguente principio di diritto:
“Allorquando tra i beni costituenti l’asse ereditario vi siano edifici abusivi, ogni coerede ha diritto, ai sensi dell’art. 713 c.c., comma 1, di chiedere e ottenere lo scioglimento giudiziale della comunione ereditaria per l’intero complesso degli altri beni ereditari, con la sola esclusione degli edifici abusivi, anche ove non vi sia il consenso degli altri condividenti”.
Argomentando diversamente risulterebbe illogicamente compresso il diritto potestativo di ogni coerede di ottenere lo scioglimento della comunione ereditaria, conferendo per contro agli altri il potere di impedire, (semplicemente negando il consenso), lo scioglimento della comunione ereditaria con riferimento all’intero complesso dei beni per i quali invece è giuridicamente possibile.
Dai principi sopra enunciati discende l’infondatezza anche del secondo profilo di censura formulata col primo motivo.
Ne consegue pertanto il rigetto dell’intero primo motivo di ricorso, dovendosi ritenere che l’atto di scioglimento della comunione ereditaria è incluso negli atti tra vivi per i quali il D.P.R. n. 380/2001 e la L. n. 47/1985 comminano la sanzione della nullità.
Le disposizioni eccettuative del D.P.R. n. 380/2001 e della L. n. 47/1985
La Corte si concentra infine sull’ulteriore censura sollevata dalla Curatela ricorrente, che lamentava che la Corte d’Appello avesse erroneamente dichiarato di non poter pronunciare la divisione, non rientrando tra gli “atti derivanti da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali”, sottratte alla comminatoria di nullità.
Si tratta quindi di stabilire se la divisione di un edificio abusivo, resasi necessaria nell’ambito dell’espropriazione di beni indivisi (divisione c.d. “endoesecutiva”) o delle procedure concorsuali (divisione c.d. “endoconcorsuale”), sia vietata in quanto nulla, in base alla disciplina prevista per gli edifici abusivi, o rientri invece nell’ambito di applicazione delle disposizioni eccettuative di cui all’art. 46, quinto comma del D.P.R. n. 380/2001 e dell’art. 40, commi 5 e 6, della L. n. 47/1985.
Il Collegio depone per quest’ultima soluzione, osservando che le riferite disposizioni eccettuative non solo sono in linea con la ratio posta a fondamento della generale comminatoria di nullità di cui ai precedenti commi, ma si accordano appieno anche coi principi generali dell’ordinamento, dai quali anzi sono implicate.
Statuisce pertanto il seguente principio di diritto, da cui fa discendere l’accoglimento del secondo motivo di ricorso:
“In forza delle disposizioni eccettuative di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46, comma 5 e al L. n. 47 del 1985, art. 40, commi 5 e 6, lo scioglimento della comunione (ordinaria o ereditaria) relativa ad un edificio abusivo che si renda necessaria nell’ambito dell’espropriazione di beni indivisi (divisione c.d. “endoesecutiva” o nell’ambito del fallimento (ora, liquidazione giudiziale) e delle altre procedure concorsuali (divisione c.d. “endoconcorsuale”) è sottratta alla comminatoria di nullità prevista, per gli atti di scioglimento della comunione aventi ad oggetto edifici abusivi, dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 46, comma 1, e dalla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40, comma 2″.
Conclusioni
All’esito del lungo e articolato iter argomentativo svolto la Corte ha quindi rigettato il primo motivo di ricorso, accolto il secondo, cassando la sentenza impugnata con riferimento alla censura accolta e rinviando ad altra sezione della Corte d’Appello di Palermo affinché si conformi al principio di diritto enunciato in relazione alla predetta censura, provvedendo anche sulle spese del giudizio di legittimità